Gli scienziati marini italiani sapevano che il 2025 sarebbe stato un anno difficile quando, prima ancora della Festa della Repubblica, la cinquantesima carcassa di balena grigia è stata portata a riva su una spiaggia della Liguria. Il bilancio supera già di gran lunga i 31 esemplari spiaggiati lo scorso anno e fa eco alla terribile moria nel Mediterraneo dichiarata “evento di mortalità insolita” dal 2019 al 2023. L’ISPRA ha ufficialmente chiuso l’evento alla fine del 2023, ma un comunicato del giugno 2025 ammette che la popolazione delle balene grigie nel Tirreno “rimane in declino, con un tasso di natalità ancora basso”.
Il buffet marino si sta esaurendo: clima, ecosistemi alterati e stomaci vuoti
Nei laboratori di necroscopia lungo la costa, i biologi trovano sempre la stessa storia: grasso sottile come carta, stomaci vuoti, fanoni danneggiati. Le balene grigie dipendono dalla ricchezza di krill e piccoli crostacei nei fondali del Mar Ligure e del Tirreno, ma il riscaldamento delle acque e i cambiamenti nelle correnti hanno ridotto drasticamente questa fonte di cibo.
Uno studio su 83 carcasse ha collegato l’80% dei decessi alla fame. Le balene affamate ora deviano verso sud, cercando cibo nel Golfo di Napoli e nelle acque della Sardegna, zone che un tempo attraversavano rapidamente.
Marco Bellini dell’Istituto di Ricerca Marina di Genova la definisce una “strategia disperata” che sacrifica il ritmo migratorio in cambio delle poche risorse che il mare offre ancora.
Monitoraggio, droni e ricerca delle prede
Per decifrare la crisi, gli scienziati italiani stanno dotando le balene di dispositivi di tracciamento. Vengono marcate con tag satellitari, seguite da droni che fotografano lo spessore del grasso e analizzano i campioni di fondale marino.
I conteggi preliminari stimano che l’attuale popolazione di balene grigie nel Mediterraneo sia di circa 1.750 esemplari, in calo rispetto ai 2.700 registrati nel 2016. I censimenti dei cuccioli, effettuati ogni primavera dalla costa toscana, mostrano una leggera ripresa dopo il minimo storico del 2022, ma i numeri del 2025 sono ancora inferiori alla media.
Cosa può fare l’opinione pubblica italiana?
Sebbene nessuno possa ripristinare immediatamente l’ecosistema marino, le comunità costiere possono contribuire:
- Il porto di Genova ha introdotto limiti di velocità per le navi (10 nodi nelle aree critiche) per ridurre il rischio di collisioni.
- La Sicilia ha esteso il divieto di pesca a strascico in alcune zone per proteggere i fondali.
- I cittadini scienziati che segnalano avvistamenti e spiaggiamenti aiutano i ricercatori a intervenire tempestivamente.
A lungo termine, la riduzione delle emissioni e la protezione degli habitat marini sono fondamentali. Il Ministero della Transizione Ecologica sta valutando un Piano per il Corridoio Blu del Mediterraneo, che includerà misure per ridurre l’inquinamento acustico, ripristinare le praterie di posidonia e limitare il traffico navale nelle aree sensibili.
Segnali di speranza
Nonostante i dati allarmanti, ci sono alcune buone notizie:
- Il numero di cuccioli nel 2024 è aumentato per la prima volta in quattro anni.
- L’Area Marina Protetta del Santuario dei Cetacei sta ampliando le zone di tutela.
Ogni piccolo passo guadagna tempo per una specie che ha già superato minacce come la caccia, l’inquinamento e i cambiamenti climatici.
Per ora, ogni nuovo spiaggiamento ci ricorda che il Mediterraneo sta cambiando più rapidamente di quanto i suoi giganti possano adattarsi. Dalle coste liguri alle acque della Sicilia, le balene grigie stanno riscrivendo il loro viaggio millenario, e gli scienziati, armati di tecnologia e collaborazione cittadina, cercano di capire il perché… prima che la prossima onda porti via l’ultimo indizio