Questo “coltellino svizzero” preistorico dimostra che i Neanderthal utilizzavano già strumenti multifunzionali 130.000 anni fa

Una recente scoperta nella grotta di Scladina (Belgio) rivela che i Neanderthal trasformavano le ossa di grandi predatori in utensili multiuso. L’immagine popolare dei Neanderthal oscilla solitamente tra quella di un ominide “primitivo” con capacità limitate e quella di un parente stretto dell’Homo sapiens, dotato di numerose abilità tecniche e di un complesso mondo simbolico. Le recenti ricerche archeologiche, tuttavia, stanno inclinando sempre più la bilancia verso quest’ultima interpretazione. Una delle scoperte più recenti, effettuata nella grotta di Scladina (Belgio), rivela che i Neanderthal, oltre a interagire con grandi carnivori come il leone delle caverne, erano anche in grado di trasformare le loro ossa in strumenti multiuso.

Un “multitool” preistorico: gli archeologi hanno trovato un’incredibile invenzione dei Neanderthal

Una scoperta senza precedenti nell’archeologia paleolitica Il nuovo studio, pubblicato su Scientific Reports nel 2025, documenta il più antico caso conosciuto di strumenti ossei multifunzionali realizzati dai Neanderthal dai resti di leone delle caverne (Panthera spelaea). Il ritrovamento è avvenuto nell’Unità 5 della grotta di Scladina ed è stato datato alla fine del Pleistocene medio (circa 130.000 anni fa). L’uso di queste ossa come materia prima per la fabbricazione di strumenti sembra confermare che i Neanderthal non solo cacciavano o si nutrivano di grandi carnivori, ma anche sfruttavano i loro resti in modo efficace.

Tra gli oggetti scoperti spicca un frammento della diafisi di un tibia di leone. In primo luogo, il pezzo è stato lavorato per ottenere uno strumento che, successivamente, è stato fratturato deliberatamente per essere riutilizzato come ritoccato. Questa sequenza operativa, che ricorda la multifunzionalità tipica dei coltellini svizzeri, mostra una catena di decisioni tecniche complesse per ottenere il massimo dallo strumento.

Grotta di Scladina. Fonte: Abrams et al. 2025; mappa generata da Global Mapper v.22.1 utilizzando dati SRTM della NASALa Grotta di Scladina: contesto geologico e archeologico Situata nella valle della Mosa, tra Andenne e Namur, la Grotta di Scladina è oggetto di studio da parte dei ricercatori dal 1978. La sua stratigrafia contiene almeno 120 livelli stratigrafici che coprono circa 400.000 anni. Nell’Unità 5, dove sono stati rinvenuti i ritoccatori di ossa, gli archeologi hanno identificato un insediamento neandertaliano legato al complesso tecnico musteriano. Questo livello ha rivelato sia utensili in selce che un insieme di materiali ossei che riflettono un uso intenzionale e standardizzato delle ossa animali come materiale per la fabbricazione di strumenti.

Le analisi tafonomiche e zooarcheologiche dei resti indicano che i Neanderthal cacciavano soprattutto camosci (Rupicapra rupicapra), ma lavoravano anche altri mammiferi, compresi i grandi carnivori. Lo sfruttamento delle ossa di leone come materia prima faceva quindi parte di un più ampio modello di selezione deliberata delle risorse.

Quattro degli strumenti per la lavorazione delle ossa rinvenuti nella grotta di Scladina. Fonte: Abrams et al. 2025 Il leone delle caverne come fonte di materie prime Il team di ricerca ha identificato quattro strumenti ossei realizzati con frammenti della tibia di un leone delle caverne adulto. Due di questi —Sc1986-1278-160 e Sc1982-348-25— si incastrano tra loro, consentendo di ricostruire un segmento più ampio dell’osso originale. Tale ricostruzione ha confermato che le ossa sono state fratturate intenzionalmente, seguendo un processo pianificato di lavorazione e riutilizzo.

Uno dei pezzi presenta una morfologia smussata a seguito di una ritoccatura bifacciale: probabilmente è stato usato come scalpello. Questo possibile uso iniziale come strumento intermedio, seguito dalla sua conversione in ritoccatori, ovvero strumenti utilizzati per modificare i taglienti litici, rappresenta la prima prova di uno strumento osseo multifunzionale elaborato dai Neanderthal a partire dai resti di un leone delle caverne.

Analisi microscopica e proteomica Per verificare la funzione dei pezzi e la loro origine tassonomica, il team ha applicato diverse tecniche di analisi. L’ispezione microscopica ha rivelato levigature sulla superficie dell’osso, microfratture direzionali e resti incrostati di selce, prove che confermano l’uso ripetuto degli strumenti su materiali litici.

Sono state inoltre effettuate analisi proteomiche mediante le tecniche ZooMS (Zooarchaeology by Mass Spectrometry) e LC-MS/MS (cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa). Entrambe le tecniche hanno confermato che le ossa utilizzate provenivano dalla specie Panthera spelaea, il leone delle caverne, e non da altre specie come l’orso delle caverne, anch’esso comune nel sito.

Dal caos all’ordine: come i Neanderthal hanno sviluppato i primi standard produttivi

Tecnologia ossea neandertal: selezione e standardizzazione Il ritrovamento non deve essere considerato un caso isolato. Nella stessa unità stratigrafica sono stati recuperati 29 ritoccatori ossei, realizzati per lo più con resti di orso delle caverne, ma anche di renna, bisonte, cavallo e rinoceronte lanoso. Nonostante questa diversità faunistica, gli strumenti presentano una sorprendente uniformità dimensionale. Questa somiglianza tra i pezzi suggerisce che i Neanderthal davano priorità alla forma, alle dimensioni e alla freschezza dell’osso piuttosto che alla specie di provenienza dello stesso. Secondo i ricercatori, questa standardizzazione rafforza l’ipotesi che i Neanderthal comprendessero le proprietà meccaniche dell’osso e le applicassero con precisione nella produzione dei loro utensili.

Opportunismo o strategia? Una questione rilevante nella ricerca è se i Neanderthal abbiano ottenuto i resti di leone delle caverne attraverso la caccia diretta, l’accattonaggio o per puro caso. L’assenza di segni di carnivori o di segni di alterazione dovuta alle intemperie sulle ossa suggerisce che i resti siano stati manipolati poco dopo la morte dell’animale. Inoltre, il contesto spaziale e la concentrazione dei resti indicano che, molto probabilmente, sono stati trasportati intenzionalmente all’interno della caverna.

Sebbene non si possa escludere del tutto un utilizzo opportunistico, la sequenza di frattura, intaglio e riutilizzo suggerisce un’azione pianificata piuttosto che un semplice recupero di resti. In questo senso, il leone delle caverne, uno dei carnivori più imponenti del Pleistocene, diventa una risorsa materiale per le comunità neanderthaliane.

Questa scoperta senza precedenti nella grotta di Scladina ci costringe a rivedere le nostre idee sulle capacità tecniche e cognitive dei Neanderthal. Al di là di un’economia di sussistenza basata sulla caccia di piccole prede e sull’uso di utensili in selce, il ritrovamento dimostra che questi gruppi umani svilupparono una tradizione tecnologica in cui le ossa dei grandi carnivori venivano selezionate, lavorate e riutilizzate secondo criteri funzionali ben definiti.

Il tibia di leone cavernario trasformato in uno strumento multifunzionale dimostra la versatilità tecnica e la capacità di pianificazione dei Neanderthal. Come un vero e proprio “coltellino svizzero” preistorico, questo pezzo dimostra che questi ominidi erano in grado di adattare i loro strumenti a diverse funzioni e di ottimizzare al massimo le risorse disponibili.