La natura si vendica: vermi mutanti divorano tonnellate di polietilene

La plastica è entrata in ogni aspetto della nostra vita moderna, dagli imballaggi alimentari ai vestiti che indossiamo. Sebbene la sua praticità e il suo basso costo la rendano onnipresente, la sua produzione massiccia e, soprattutto, la sua resistenza alla biodegradabilità hanno scatenato una crisi di inquinamento ambientale globale.Questo problema urgente richiede soluzioni innovative che vadano oltre il riciclaggio convenzionale.

I vermi della cera si uniscono alla lotta contro l’inquinamento

Attualmente, il riciclaggio meccanico è l’unica via su larga scala per gestire i rifiuti plastici, ma presenta gravi limitazioni. Fattori quali la scarsa quantità di tipi di plastica adatti a questo processo e la qualità inferiore dei prodotti secondari ne limitano fortemente il potenziale.

D’altra parte, esiste il riciclaggio chimico, che cerca di decomporre la plastica per sfruttare intermedi più piccoli, ma i suoi elevati costi energetici rendono difficile il processo e la garanzia di funzionamento. Pertanto, la ricerca di alternative è indispensabile.

Molti tipi di plastica possono impiegare centinaia di anni per degradarsi, il che significa che la plastica che scartiamo oggi continuerà a inquinare l’ambiente per molto tempo.

Di fronte a questa sfida monumentale, la comunità scientifica non smette di cercare alternative creative. Negli ultimi anni sono stati identificati alcuni batteri, funghi e altre specie che hanno la sorprendente capacità di degradare la plastica.

Una scoperta sorprendente avvenuta nel 2017 grazie a Federica Bertocchini, ricercatrice del Consiglio Superiore delle Ricerche Scientifiche (CSIC) e apicoltrice per hobby, ha accidentalmente osservato una nuova e promettente via di ricerca contro l’inquinamento da polietilene.

Bertocchini notò che alcuni vermi, successivamente identificati come vermi della cera o del miele (Galleria mellonella), avevano perforato un sacchetto di plastica in cui erano stati temporaneamente collocati. Con suo grande stupore, questi insetti si stavano nutrendosi del polietilene.

Questa scoperta fu fondamentale, poiché offriva una prospettiva biologica insolita per affrontare la decomposizione di un materiale così resistente, che può richiedere decenni o secoli per degradarsi completamente in modo naturale.

Ulteriori ricerche hanno approfondito questo meccanismo biologico. Nel 2025, il team di Bertocchini ha svelato il segreto dietro l’incredibile abilità del verme: la sua saliva contiene enzimi specifici, appartenenti alla famiglia delle fenolo ossidasi.

A) Schema di raccolta e applicazione della saliva.

B) Analisi RAMAN di pellicola di PE e pellicola di PE trattata con GmSal: 3 applicazioni di 90 min, 30 μl ciascuna. I picchi tra 1500 e 2400 cm − 1 indicano diverse vibrazioni di stiramento collettivo dovute alla presenza di altri composti organici, segno di deterioramento del PE (freccia rossa). L’ossidazione è indicata tra 1600 e 1800 cm − 1 (gruppo carbonile) e 3000–3500 cm − 1 (gruppo idrossile) (frecce nere) 78 .

C) Pellicola di PE di controllo. Le parentesi indicano i picchi che caratterizzano il PE (firma del PE), corrispondenti alle bande a 1061, 1128, 1294, 1440, 2846 e 2880 cm − 1 .

D) Profili sovrapposti ( B e C ), film di polietilene espanso trattato con saliva di Samia cynthia.

Questi enzimi sono in grado di avviare l’ossidazione del polietilene in modo efficiente e, cosa ancora più notevole, a temperatura ambiente. Questa scoperta molecolare è fondamentale, poiché l’ossidazione è il primo e più difficile passo della biodegradazione del PE, generalmente guidata da fattori abiotici come la luce o la temperatura.

Meccanismi di decomposizione

Il professor Bryan Cassone, del Dipartimento di Biologia dell’Università di Brandon, ha condotto uno studio per comprendere in profondità questi meccanismi biologici. Le sue ricerche confermano che il verme della cera ha una notevole capacità di degradare metabolicamente la plastica a una velocità impressionante, nel giro di pochi giorni.

Egli afferma che “circa 2.000 vermi della cera possono decomporre un intero sacchetto di polietilene in sole 24 ore”. “Questo ritmo di degradazione suggerisce un potenziale reale per applicazioni pratiche”.

Lo studio di Cassone ha anche fatto luce su come i vermi elaborano la plastica: la trasformano in lipidi, che poi immagazzinano come grasso corporeo, in modo simile a come noi esseri umani immagazziniamo i grassi. Tuttavia, una dieta esclusivamente plastica porta alla morte rapida dei vermi, che non sopravvivono più di pochi giorni e perdono una massa considerevole. Ciò rende necessaria un’integrazione alimentare per mantenerli in salute.

Nonostante questo inconveniente, il team di Cassone mantiene una posizione ottimista, credendo di poter formulare un super alimento che non solo mantenga i vermi in buona salute, ma che addirittura migliori la loro condizione fisica.

Due vie principali che contribuiscono alla crisi della plastica

L’allevamento intensivo di vermi con una dieta integrata con polietilene all’interno di un’economia circolare, o la riprogettazione del percorso di biodegradazione della plastica al di fuori dell’animale, sfruttando gli enzimi scoperti.

Ricerche approfondite sulla saliva del verme della cera hanno rivelato la presenza di due enzimi chiave, chiamati PEasas: Demetra e Ceres. Questi sono i primi enzimi conosciuti in grado di ossidare e depolimerizzare pellicole di polietilene a temperatura ambiente e in pochissimo tempo, producendo chetoni e altri sottoprodotti a basso peso molecolare.

Questa scoperta è rivoluzionaria, poiché supera il collo di bottiglia dell’ossidazione abiotica che ha limitato il progresso della biodegradazione del PE.

L’esistenza di questi enzimi insetti, che agiscono senza bisogno di pretrattamenti e in condizioni ambientali, rappresenta un paradigma alternativo e promettente nella degradazione biologica del PE.

Questo non solo apre una nuova strada per il riciclaggio o il sovracciclaggio dei componenti plastici, ma suggerisce anche che la saliva degli insetti potrebbe essere un vasto serbatoio di enzimi degradanti. Questa ricerca rappresenta un significativo passo avanti verso la possibilità di un’economia circolare per la plastica.